ll foulard per uno scout è come l’anello per un fidanzato o una sposa. Il simbolo di una promessa. Promessa: parola tanto abusata nel suo utilizzo, quando non dimenticata.
Gli scout indossano il foulard perché ricorda loro l’impegno che hanno preso, con se stessi, con gli altri e verso Altro.
La cerimonia del momento della promessa è come un battesimo: segna l’ingresso nella grande famiglia degli scout, come recitano i capi ai loro ragazzi mentre poggiano loro il fazzolettone al collo.
Lo scoutismo è fatto di ritualità, di simboli, di codici decifrabili da chi appartiene a questo mondo e che ci fanno sentire un po’ degli eletti, un po’ speciali. Spesso i genitori dei piccoli scout mi hanno detto che i figli non condividevano facilmente né tantomeno dettagliatamente cosa facevano agli scout. Ci credo: è il loro mondo, di cui sono un po’ gelosi e ne custodiscono i “segreti”.
Provo a spiegare tutto ciò che gira intorno alla promessa, ma per i più curiosi invito a viverla!
Non posso che partire da me: avevo 10 anni! Attraverso il mio gemello già iscritto, avevo vissuto tante esperienze, conoscevo gli altri lupetti, cantavo a squarciagola le canzoni scout, soprattutto in auto per la gioia dei miei genitori. Insomma mi sentivo già parte di quel mondo, ma volevo di più, volevo essere riconosciuta parte di quel mondo. Per questo dissi ai miei capi, dopo un paio di mesi di frequentazione, che volevo fare la promessa. È bello no? Poter conoscere qualcosa, qualcuno, un nuovo mondo e deciderlo di abitarlo. Lo trovo un atto coraggioso, un po’ incosciente, un po’ serio. Come una storia d’amore. Conosco una persona, la frequento, mi piace e decido che voglio stare con lei. Tutti gli adulti hanno difficoltà a fare questo, in amore, pensate un bambino che prende questa decisione all’età di 8 anni, certo all’inizio è l’entusiasmo che lo anima (ma perché in amore non è così? E menomale!) ma si fa una scelta, una scelta importante che mi dice chi sono, cosa voglio e da che parte voglio stare.
Il mio capomuta (il caposquadra), mia amichetta del cuore, quel giorno aveva la febbre e non mi avrebbe accompagnato al cospetto di Akela, il nostro capo, l’educatore. Fu allora il mio vicecapomuta a portarmi, mano nella mano, davanti al capobranco per il solenne momento a cui mi ero preparata. Ero davanti ad Akela e tutti gli altri, lupetti e capi, erano in cerchio attorno a noi. Con la mano destra facevo il saluto poggiandolo sulla bandiera simbolo nel nostro gruppo e intrecciavo la sinistra nella sua. Il saluto per i lupetti è come fare il segno della vittoria, indice e medio alzati, anulare e mignolo stanno giù, tenute dal pollice. I più grandi salutano con anche il dito anulare alzato. Ebbene anche il saluto mi è sempre piaciuto. Mi piace ciò che non cambia, cioè il pollice che tiene giù il mignolo. Quando lo spieghiamo diciamo che simboleggia il più grande che protegge il più piccolo. E deve essere così. Noi grandi, che ci piaccia o no, che abbiamo figli o no, che facciamo gli educatori o gli insegnanti, ma anche no, siamo sempre responsabili dei piccoli. A quelli che vengono dopo di noi consegneremo il mondo e per questo il fondatore degli scout, il signor Baden Powell, raccomandava di lasciare il mondo migliore di come lo abbiamo trovato. Questo mondo che non ci appartiene ma che ereditiamo e consegniamo a chi verrà dopo. Mi piace, mi piace sempre l’idea del più grande che protegge il più piccolo che si interroga su i suoi errori, se il piccolo sbaglia. Se i miei lupetti finivano subito le tappe durante la caccia al tesoro, mi chiedevo se gli indizi non fossero stati troppo facili; se tutti i miei alunni sbagliano il compito in classe, mi interrogo su come ho spiegato, sulle esche che uso per farli crescere perché è il più grande che protegge (nel senso che sei prende cura, cha ha cuore) il più piccolo.
Quando ebbi finito di recitare il testo della promessa, tutto d’un fiato, mentre Akela mi aveva guardato sempre fisso negli occhi, prese poi quello che sarebbe stato il mio foulard e che aveva avuto al suo collo, sopra al suo, durante quel momento, me lo mise e finalmente pronunciò la frase: da oggi entri a far parte della grande famiglia degli scout. Benvenuta, Camilla. Ero emozionatissima! Anche questo passaggio è importante: il capo si toglie il foulard che ha sul suo e lo possa su collo di chi promette, simbolicamente gli trasferisce la sua esperienza, gli dà qualcosa di sé. Come quando un amico, dopo una chiacchierata o per suggellare un momento importante, decide di regalarci il braccialetto o la catenina che indossa sempre, ci dà qualcosa di sé.
Da allora ho rinnovato la mia promessa negli esploratori, da rover e infine da capo. Èd è stato sempre emozionante e lo è stato altrettanto quando, a pronunciare la famosa frase di benvenuto, ero io. Ho fatto davvero centinaia di promesse e le ricordo tutte. I volti dei bambini, dei ragazzi, degli adulti talvolta più grandi di me, che emozionati mi guardavano, recitavano, aspettavano. Oltre alla frase di rito,che è per tutti, ho sempre preparato, per ciascuno, una frase particolare da dire, consapevole dell’importanza e dell’unicità del momento. Tanti bambini non mi volevano guardare in faccia, allora mi abbassavo un po’ io, altre volte sollevavo loro il viso, delicatamente, perché quando si fa una promessa ci si guarda negli occhi. Qualche volta chiudevo il foulard con dei nodini da sciogliere dopo aver fatto qualcosa che in quel momento chiedevo, generalmente una buona azione, cioè cercare di rendere felice qualcuno. Altre facevo consegnare dai più grandi un fermafoulrd che avevamo costruito in un’occasione precedente. Alcune cerimonie le ho svolte in un sentiero di montagna con lo sfondo del mare, altre sulla neve, altre ancora nella villa comunale, ma sono state tutte belle, importanti per me e per chi ha promesso e magari non ha più rinnovato l’iscrizione, ma è ancora uno scout perchè scout una volta, scout per sempre, dal momento che non si fanno gli scout, ma scout si è.